Russi in Italia

L’Esposizione Internazionale del 1911 e gli artisti russi


“Mostra: soggetto del delirio del XIX secolo”. Questa celebre definizione del Dizionario dei luoghi comuni di Flaubert caratterizza la mania delle esposizioni universali che dal 1851 animarono magicamente spazi nuovi e effimeri all’interno delle capitali. Nate come espressione delle conquiste scientifiche dell’umanità, del prestigio nazionale e della creatività dei paesi organizzatori, le esposizioni universali che si sono succedute in Europa e America nel XIX-XX secolo sono state celebrazioni di massa della borghesia imprenditoriale, luogo dello scambio, festa politica, arma propagandistica, sperimentazioni mai fini a se stesse ma pensate per informare e far circolare le idee. Non a caso il periodo del loro maggior splendore si situa nella seconda metà del XIX sec., quando oltre ai manufatti dell’artigianato artistico e ai prodotti industriali di massa venivano regolarmente presentate al pubblico internazionale anche le scoperte: la telegrafia nel 1851, l’ascensore idraulico nel 1867, il telefono nel 1876, la luce elettrica nel 1878 e più tardi l’automobile, la radio, il cinema...
Nutrite dell’idea del libero scambio, le esposizioni universali hanno anche dato un impulso decisivo al mutamento delle forme artistiche, ponendosi come simboli di un diverso ordine sociale, spazializzazione di nuovi valori sociali, morali, estetici. Non a caso molte di loro hanno scelto date simbolo di rivolgimenti sociali: nel 1889 Parigi festeggia i cento anni dalla Rivoluzione francese, a Chicago nel 1893 si celebra il quarto centenario della scoperta dell’America, a Budapest nel 1896 i mille anni del regno d’Ungheria, a Parigi nel 1900 il respiro del nuovo secolo, a St. Louis nel 1904 si inneggia al centenario dell’annessione della Louisiana agli Stati Uniti. L'Italia non si sottrae a questa seduzione e nel 1911 a Torino, Firenze e Roma celebra il primo cinquantenario della proclamazione del Regno d’Italia con l’Esposizione Internazionale, inaugurata il 29 aprile 1911 alla presenza dei Sovrani, delle massime autorità del Regno e dei rappresentanti dei paesi ospiti. A Torino furono allestiti i padiglioni dell’industria e della tecnica, a Roma e Firenze mostre di arte e di archeologia.
La Russia, che a tutte le Esposizioni universali aveva scelto per i suoi padiglioni lo stile architettonico dell’antica Russia, a Torino e a Roma decide di presentarsi in forme neoclassiche. Autore dei padiglioni torinese e romano è l’architetto Vladimir Šcuko, che idea due edifici, arieggianti il motivo di un tempio egizio, cui si accede per due ampie scale custodite da enormi statue dorate. La Russia, che tra le prime aveva riconosciuto il Regno d’Italia, inaugura il suo padiglione alla presenza del Granduca Boris Romanov e della Granduchessa Marija Pavlovna, “accolti con grande cordialità dai nostri Sovrani e dalla popolazione romana”.
Alla maestosa cerimonia dell’inaugurazione dedica ampio spazio la stampa, che ne segnala la solennità:
Gli attachés d’ambasciata in smaglianti uniformi formavano il servizio d’onore. A piedi la gradinata del padiglione vi erano: il conte Tolstoi, commissario generale del Comitato per la mostra, con i commissari aggiunti.
A tutte le signore venivano offerti eleganti cestini di fiori.
La folla degli invitati gremì presto l’atrio e tutte le gradinate. Tra questi notammo l’ambasciatore russo Dolgorukij che faceva gli onori casa, il sindaco Nathan, il prefetto Annaratone, il conte di San Martino (…).
Tra i ministri notiamo il conte di San Giuliano; tra gli ambasciatori, Barrère.
I reali e i granduchi di Russia giungono cogli automobili alle 3 precise. Sono ricevuti dall’ambasciatore. Alle due auguste donne vengono offerti degli splendidi mazzi di rose legati con nastri dai colori russi. Il re sale il padiglione dando il braccio alla granduchessa; il granduca dà il braccio alla regina. Nella prima sala i reali si fermano e la granduchessa, in lingua russa, ringrazia i reali d’Italia di aver voluto onorare di loro presenza l’inaugurazione e dichiara aperta la mostra (A Valle Giulia. L'inaugurazione del padiglione russo, «Il Messaggero», 15 maggio 1911, p. 4).
Tra gli artisti russi presentati spicca Michail Nesterov, uno dei primi pittori religiosi russi, che alla fine degli anni ‘80 rifiuta la pittura storica o di genere, per dedicarsi a descrizioni poetiche della vita monastica: la Russia ritratta nei quadri esposti – I sognatori e Le campane della sera – è la santa Russia contadina e ortodossa. Dell’ambiente degli impressionisti russi provengono invece i quadri di Konstantin Korovin (Testa femminile, La primavera), mentre da una fusione di echi impressionisti e espressionisti derivano le tele di Filipp Maljavin (L’artista e la sua famiglia e Una vecchia).
Due sale intere sono risevate rispettivamente a Il’ja Repin e a Valentin Serov. La sala dedicata a Repin è “una delle più grandi attrattive del padiglione; poiché il grandissimo artista, così noto e apprezzato nel suo paese e in Germania, è quasi sconosciuto in Italia, dove la sua opera apparirà come una rivelazione dell’arte russa…” (Nel cinquantenario dell’Unità d'Italia, «Il Messaggero», 12 maggio 1911, p. 4). Di Repin si possono ammirare numerosi ritratti di artisti e scrittori russi accanto al celebre Ritratto d’operaio e Ritratto della moglie dell’operaio, definito dal cronista del «Messaggero» “il quadro più forte della Mostra russa”.
Anche nella sala dedicata a Serov spiccano soprattutto ritratti, tra cui lo ‘scandaloso’ Ritratto di Ida Rubinštejn, un quadro che sconvolse molti visitatori, come l’Olimpia di Manet aveva turbato i visitatori del Salon des Indépendants a metà Ottocento: la ballerina è raffigurata di spalle, nuda su un divano azzurro, con le gambe artisticamente intrecciate e le braccia tese; il colore indefinito dello sfondo penetra nelle pieghe del suo corpo giallastro, sottolineato da una ondeggiante sciarpa verde. Evitando una rappresentazione realistica, Serov aveva ritratto la ballerina come trasfigurata dal suo ruolo, personalità fragile e stravagante, quasi incorporea.

Valentin Serov, Ritratto di Ida Rubinštejn

Si distaccano dal complesso più tradizionale delle opere esposte per il tratto innovativo, la macchia colorica accentuata e l’originale composizione sia alcuni quadri e incisioni di artisti vicini al “Mir iskusstva” e alle tecniche fauves di ispirazione francese, sia tele e bozzetti dei collaboratori di Djagilev nella entusiasmante esperienza dei Ballets russes. Leon Bakst espone il quadro Terror antiquus, Aleksandr Benua le tempere La pantomima galante, Il padiglione, Il bagno della marchesa e Il bacio, Mstislav Dobužinskij il bozzetto di scenario per la pièce di Aleksej Remizov Azione demonica, Aleksandr Golovin un Ritratto del signor Kousmin, Nikolaj Rerich la tempera Lotta di nuvole e i quadri Luogo sacro, Rostov Velikij e L’antica Russia.
Una sezione speciale è dedicata a disegni e incisioni, tra cui si notano il pastello di Leonid Pasternak (padre del poeta Boris) Nella camera dei bambini, le incisioni a colori di Anna Ostroumova-Lebedeva (La Neva attraverso le colonne della Borsa, Giardino d’estate, Colonne della Borsa e la fortezza, Le colonne rostrate e la Borsa, Canale Kriukow), il pannello ricamato I suoni del mare di Rimma Brajlovskaja, le incisioni su legno e le acqueforti a colori di Vadim Falileev, un disegno Ritratto di Leone Tolstoj eseguito da sua figlia di Tat’jana Suchotina-Tolstaja.



Tat'jana Suchotina-Tolstaja, Ritratto di Leone Tolstoj. 1908
Museo Tolstoj feb-web.ru

Tra gli scultori emergono Leopold Bernštam, Enrico Glicenstein, e Pavel Trubeckoj, un artista che ha lasciato un segno nella storia della scultura italiana.

È con grande orgoglio che il Presidente dell’Esposizione, conte Enrico di San Martino Valperga, ricorda quanti capolavori dell’arte europea furono allora mostrati al pubblico:

“Se la Presidenza dell’Esposizione mi procurò molte disillusioni e inquietudini, posso avere ancora oggi la soddisfazione di affermare che mai in nessun luogo vi fu una festa d’arte così completa ed imponente […] I migliori pittori e scultori di ogni Paese esposero a Roma le opere più interessanti della propria arte" (E. di San Martino, Ricordi, Roma, Danesi editore in Via Margutta, 1943, pp. 190-191).

Statistiche