1900 In maggio Šaljapin riceve per posta l'invito da parte del direttore del Teatro alla Scala di Milano, Giulio Gatti Casazza, a esibirsi nel ruolo di protagonista nell'opera Mefistofele di Arrigo Boito, di cui si prevedono dieci spettacoli nel marzo del 1901. Colto di sorpresa e intimorito all'idea di cantare alla Scala in italiano, chiede 15.000 franchi, un cachet altissimo, nella speranza che la direzione del teatro rifiuti, invece Gatti accetta e gli invia prontamente il contratto. Šaljapin compie dunque il suo primo viaggio in Italia nell'estate 1900, affitta un appartamento a Varazze, dove studia l'italiano e prepara il Mefistofele con l'aiuto dall'amico Sergej Rachmaninov. Si legge nella sua autobiografia:
"La felicità si alternava in me alla paura. Senza aspettare la partitura mi misi subito a studiare l'opera e decisi di trascorrere l'estate in Italia. Rachmaninov fu il primo con cui condivisi la mia felicità, la mia paura e i miei propositi. Espresse il desiderio di venire con me, dicendo: Ottimo, io mi occuperò della mia musica e nel tempo libero ti aiuterò a imparare l'opera.
Si rendeva perfettamente conto, come me, dell'importanza di quella esibizione, avevamo preso molto sul serio il fatto che un cantante russo fosse stato invitato in Italia, terra di celebri cantanti" (Groševa 1976, vol. I, p. 154).
1901 Durante le prove del Mefistofele alla Scala, Šaljapin porta avanti una battaglia personale per poter rappresentare il protagonista secondo la propria concezione scenica. A suo modo di vedere, nel teatro lirico italiano la caratterizzazione del personaggio è un aspetto trascurato: i costumi, il trucco e le acconciature sono dettagli lasciati al caso o elaborati in modo "primitivo". L'artista si rifiuta di rappresentare Mefistofele in giacca e pantaloni, e di atteggiarsi nelle classiche pose diaboliche suggeritegli da Toscanini, vuole entrare seminudo sulla scena, ma senza passare per "barbaro", né dare scandalo:
Quando sono uscito sul palcoscenico truccato e con il mio costume, ho prodotto grande clamore, che mi ha molto lusingato. Gli artisti, i coristi, perfino gli operai mi hanno circondato tra esclamazioni di entusiasmo, proprio come bambini, mi sfioravano con le dita, mi palpavano, e quando hanno capito che i miei muscoli erano posticci, sono definitivamente impazziti! Gli italiani sono un popolo che non è capace e non vuole nascondere gli slanci del suo animo sensibile (Groševa 1976, vol. I, p. 157).
1904 8 marzo. Al Teatro alla Scala con la direzione di Cleofonte Campanini va in scena dopo diversi anni d'assenza il Faust di Charles Guonod, interpreta anche stavolta il ruolo di Mefistofele, ma caratterizzandolo in modo diverso:
Il Scialapin trasforma il convenzionale Mefistofele in una tipica e bizzarra figura di demonio burlone e sorridente con irresistibile comicità e con singolarissimo ingegno rappresentativo. [...] Il Mefistofele che vedemmo ieri era un nuovo Mefistofele, assai differente da quello datoci dallo stesso Scialapin nell'opera del Boito e non meno bello («Corriere della Sera», 9 marzo 1904).
Le repliche dello spettacolo vanno avanti fino a metà aprile, mentre dal 24 aprile Šaljapin si esibisce nella stessa opera a Roma, dove il 26, in un teatro Argentina, "stupendamente trasformato in una serra di fiori, tappezzato di bandiere italiane e francesi", si tiene la serata di gala alla presenza del presidente della repubblica francese Emile Loubet.
Dalla fine di aprile e nel mese di maggio il cantante soggiorna alle terme di Salsomaggiore.
1907 Trascorre l'estate in Italia: a giugno e luglio è in vacanza ad Alassio.
Il 3 agosto va a Capri, dove il 7 canta per Gor'kij, Marija Andreeva e Konstantin Pjatnickij romanze di Čajkovskij e Schumann e la canzone popolare russa Nočen'ka. Il 12 ascolta la lettura del racconto di Gor'kij Špion (Žizn' nenužnogo čeloveka). Riparte per Alassio il 13 agosto.
1908 11 aprile. Canta per cinque sere al Teatro alla Scala nel Mefistofele di Boito, diretto da Arturo Toscanini.
In settembre trascorre un periodo di vacanza in Italia, il 26 rientra a Mosca.
1909 A partire dal 14 gennaio per nove serate si esibisce al Teatro alla Scala di Milano cantando in italiano l'opera con cui ha trionfato a Parigi e che ha dato prestigio nei teatri occidentali alla musica russa: il Boris Godunov di Modest Musorgskij, diretto da Eduardo Vitale, con scene di Aleksandr Golovin. Protagonista di un'opera che "coglie di sorpresa il pubblico per il rivolgimento completo della conformazione e dei modi e dei mezzi di elaborazione" (Gatti, p. 240), Šaljapin si consacra come il "più grande tragico dell'arte lirica contemporanea":
Chaliapine ha ieri sera fatto dimenticare le pure memorabili interpretazioni mefistofeliche. Per esse ci si è rivelato come un artista eccezionale, ma ieri sera è stato invece artista sommo, attore cantante psicologicamente completo in ogni fase della intima, tormentosa ambascia che dilania il cuore del protagonista. Mai nessun artista lirico seppe assurgere a così alte sfere. Chi potrà eguagliarlo? (Pintorno, p. 182).
Aleksandr Amfiteatrov, che assiste a Milano alle prove e alla prima dello spettacolo, scrive a Gor'kij:
L'arte russa si è aggiudicata una grande vittoria con il Boris Godunov. È stato un successo enorme, senza precedenti per la Scala, così cerimoniosa e composta. Nell'intervallo, gli italiani erano entusiasti e attoniti, e - cosa sorprendente - hanno capito lo spirito e il significato del Boris. È stato molto interessante e toccante. Confesso: complice il buio della sala, ho ascoltato tutta l'opera con le lacrime agli occhi. Fedor è stato superbo. Gli italiani dicevano incantati di non aver mai assistito a un'esibizione simile su un palcoscenico d'opera, e che nella recitazione, a parte Salvini e il compianto Rossi, Fedor non ha rivali (Groševa, vol. I, p. 647).
Il 1911 è uno degli anni più difficili per Šaljapin, che si trova nella necessità di sanare con gli amici il malinteso "incidente dell'inginocchiamento" al cospetto dello zar, avvenuto in gennaio al teatro Mariinskij durante l'esecuzione del Boris Godunov. Il gesto scatena accese reazioni sulla stampa di sinistra, tra cui alcune pubbliche dichiarazioni di "rottura" con Šaljapin da parte di suoi amici che lo ritenevano a ragione un sostenitore della causa rivoluzionaria, come Valentin Serov, Amfiteatrov e Georgij Plechanov. La circostanza addolora profondamente l'artista, che è isolato dalla cerchia delle sue frequentazioni abituali e teme una reazione analoga di Gor'kij. In seguito a un concitato carteggio estivo con lo scrittore, in settembre si reca a Capri, dove è accolto con il consueto calore. Una testimonianza di questo significativo soggiorno caprese appare sulla stampa italiana alcuni anni più tardi, in un articolo intitolato Un tribunale rivoluzionario russo in Italia, in cui Angelo Flavio Guidi racconta di un "processo" inscenato a casa di Gor'kij:
A Capri era Scialapin. Scialapin era un colpevole. Alla fine del primo atto del Boris Godunov, da lui interpretato nel Teatro Imperiale di Pietrogrado, al canto del "Bodzie Tzaria Krani", lui rivoluzionario, si era inginocchiato ed aveva reso omaggio allo Tzar. [...] io so che Massimo Gorky, nella cui casa si riunì il tribunale, e che i giudici non suggestionò, ma convinse, rifacendo la storia psicologica dello Scialapin, compì in quella sera un'azione che i suoi amici bolscevichi non so quante volte avranno imitata. Assolse e fece assolvere Scialapin. E quella sera lo Scialapin cantò le sue canzoni più belle e vi era ad applaudirlo tutta la Capri rivoluzionaria russa, ed anche quella non russa e non rivoluzionaria (Angelo Flavio Guidi, Un tribunale rivoluzionario russo in Italia, «L'Epoca», martedì 25 novembre 1919, p.2).
Šaljapin soggiorna sull'isola con la moglie Marija Valentinovna Petcol'd dal 10 al 24 settembre, canta per gli amici e posa e per un ritratto di Isaak Brodskij, che in seguito acquista per farne omaggio al padrone di casa. Šaljapin stesso esegue il ritratto di Pjatnickij e le caricature di Gor'kij, Aleksej Zolotarev, Brodskij e Akim Volinskij. Delle esibizioni canore di Šaljapin in casa di Gor'kij si conservano diverse testimonianze: dai ricordi di Pjatnickij risulta che Šaljapin canta il giorno stesso del suo arrivo e alla vigilia della partenza, mentre in una lettera a A.N. Tichonov Gor'kij scrive:
Fedor ha cantato in modo soprannaturale, pauroso: soprattutto il Sosia di Schubert e Giorno di pioggia di Korsakov. Il suo repertorio è molto cresciuto. Canta meravigliosamente Grieg e i nordici in genere. Anche Filippo II. Insomma, che dire, è un mago (Solokov, pp. 465-466).
Rientrato in Italia, il 25 marzo è a Milano per preparare il ruolo di Ivan il Terribile ne La fanciulla di Pskov di N. Rimskij-Korsakov, che va in scena in italiano al Teatro alla Scala l'11 aprile, con 5 repliche fino al 20 aprile. Gli altri interpreti sono Ida Cattorini (Principessa Ol'ga), Voluntas (Vlas'evna), Bernardo De Muro (Michail Tuča), dirige Tullio Serafin. Secondo i critici l'opera avrebbe sofferto dell'obbligato confronto con il Boris Godunov, "e ieri sera il pubblico si è ricordato del Boris più che non dovesse. Si può affermare che l'opera del Rimsky-Korsakow non fu giudicata secondo il suo valore intrinseco, bensì a paragone dell'altra". Ciò nonostante, Šaljapin è accolto dal pubblico scaligero con il consueto calore:
Il pubblico vuole lo Chaliapine al proscenio. Ancora una volta il celebre artista si è rivelato attore tragico e comico ammirevole. Nella musica e nel dramma la parte dello zar non ha molto rilievo. Il poeta l'ha troppo riassunta, il maestro non seppe vivificarla e completarla colla sua ispirazione. E tuttavia il Chaliapine poté ieri sera dargli vigore e grandezza drammatica colla potenza rappresentativa della sua arte («Corriere della Sera», 12 aprile 1912).
La percezione di Šaljapin è che l'opera abbia riscosso un "enorme successo", e ne scrive entusiasta a Gor'kij:
Pensa a quindici anni fa, quando a Mosca lo stesso Mamontov dubitava che avrebbe avuto successo e non voleva metterla in scena... chi avrebbe potuto immaginare che quest'opera così bella, ma di difficile comprensione perfino per l'orecchio del pubblico russo, l'avrebbero messa in scena gli italiani e l'avrebbero apprezzata così tanto?!! (Solokov, pp. 459-460).
Finito il lavoro a Milano, l'artista si riposa a Monza.
1913 Dal 21 al 28 febbraio è con la moglie a Capri, alloggiato nell'albergo Quisisana, dove risiedono anche Ivan Bunin e sua moglie Vera Muromceva. Come racconta la prima moglie di Gor'kij, E. P. Peškova, trascorre le sue giornate insieme a Gor'kij:
Fedor Ivanovič si alzava tardi. Quando, dopo aver fatto colazione, arrivava a Villa Serafina, dove viveva Aleksej Maksimovič, lui smetteva subito il lavoro della mattina. Aleksej Maksimovič si alzava presto, alle nove era già alla scrivania e in genere lavorava fino all'una. Si pranzava intorno alle due. [...] Talvolta facevamo le ore piccole a casa sulla terrazza della villa. Bunin raccontava dei suoi viaggi. Anche Aleksej Maksimovič aveva una buona scorta di cose viste e vissute. E raccontava qualcosa anche Šaljapin. Ma a Šaljapin si chiedeva soprattutto di cantare. "Canteresti, Fedor" diceva Aleksej Maksimovič. E dalla terrazza, con una splendida vista sulle montagne, sulla grotta di Venere e in basso sul mare luccicante, cominciava a risuonare la voce magica di Šaljapin (Groševa, vol. II, p. 373).
Il 25 febbraio dà un concerto in una sala del Quisisana per la colonia russa di Capri e il 28 riparte per la Russia.
Boris Grigor'ev, Ritratto di F. I. Šaljapin, 1923
http://ziggyibruni.livejournal.com/23666.html
1926 Il 6 giugno, partito in nave dalla Francia e diretto in Australia con la famiglia, fa una sosta a Napoli, dove incontra Gor'kij.
1929 Il 19 e il 20 aprile va in scena il Boris Godunov al Teatro Reale dell'Opera di Roma, che ospita per la prima volta il "magnifico artista russo". Per non farsi sfuggire l'ingaggio di Šaljapin, che non si esibisce in Italia da più di quindici anni ed è emigrato a Parigi, l'impresario Scotto accetta le sue condizioni, "iperboliche" per l'epoca: quaranta mila lire a sera. Šaljapin avanza pretese su ogni aspetto della messa in scena dell'opera ed entra in contrasto con tutti, tanto che il direttore d'orchestra Gaetano Bavagnoli, indignato, rinuncia all'impresa (Frajese, p. 39). Sostituito il direttore d'orchestra con il giovane maestro Angelo Questa, lo spettacolo deve essere prorogato di alcune sere e i giornali seguono il quotidiano susseguirsi dei rinvii: dal lunedì, come da programma, lo spettacolo va in scena il venerdì sera, e i romani accorrono in massa, disposti anche ad assistere allo spettacolo in piedi, non trovando posto in galleria. Šaljapin "resterà famoso nelle cronache cittadine" non solo per le sue prove di divismo, ma soprattutto per l'alto livello della sua prestazione:
Nessuno dei monarchi venuti a Roma nel corso dell'ultimo decennio ha esercitato tanta attrazione e destato tanta irrefrenabile curiosità come il cantante russo Feodor Scialiapin, soprannominato "il Caruso dei bassi". Questo divo è riuscito a sconvolgere l'ambiente mondano e artistico dell'Urbe, pur concedendo di sé il meno possibile: lo stesso Beethoven, con il sublime fardello della Nona sinfonia [in programma al Teatro Augusteo negli stessi giorni], ha dovuto ripiegare in bell'ordine dinnanzi a lui e adattarsi a passare in seconda linea. Giunto al Teatro Reale di nascosto, cioè senza fanfare preventive, egli ha subito ottenuto l'investitura suprema, facendosi proclamare Zar. [...] Con un batter di ciglia, con un sospiro, con un gesto imperioso o febbrile della mano, egli riesce a svelare sentimenti complessi e profondi. Alla figura del Boris egli dà una straordinaria fermezza di linea ed evidenza quasi paurosa (Alberto Gasco, "Boris Godunov" al Teatro Reale dell'Opera, «La Tribuna», 20 aprile 1929, p. 3).
Scialiapin domina incontrastato nel Boris e conduce la recita esercitando senza interruzione sui compagni sull'orchestra e sul pubblico un fascino che rimane anche dopo che il sipario è calato. Sarà interessante per il nostro pubblico di sapere che questo artista così suggestivo e grande, tremava ieri sera, dietro le quinte, come uno che ha la febbre terzana; l'idea di dover entrare in scena gli faceva battere i denti («Il Tevere», 20 aprile 1929).
Allo spettacolo assiste anche Gor'kij, arrivato appositamente da Sorrento, Ekaterina Peškova ricorda:
Partimmo tutti per ascoltarlo nel Boris. Ebbe un successo enorme, tutte le dicerie sul fatto che avesse perso la voce si rivelarono assurde. La sua voce era meravigliosa come sempre, e il suo Boris era ancora più emozionante e tragico. Dopo lo spettacolo ci fermammo a lungo con Fedor Ivanovič nella trattoria seminterrata "Biblioteca". Fedor Ivanovič era cambiato poco esternamente. Ascoltava avidamente i racconti sull'Unione sovietica, ma quando Aleksej Maksimovič gli chiese: "Fedor, quando torni in patria?" Šaljapin rispose: "Sono vincolato ai contratti per le tournée in diversi paesi, magari potessi liberarmene!" (Groševa, vol. I, p. 375).
La nipote di Šaljapin, Lidia Liberati, aggiunge che in quella trattoria, su richiesta di Gor'kij, Š. iniziò a cantare, attirando su di sé l'attenzione dei clienti e del personale, e quando fu chiaro che c'era anche Maksim Gor'kij, si formò una calca di curiosi che volevano un autografo. Per ristabilire l'ordine nel ristorante fu necessario l'intervento dei carabinieri (Barančeva 2004).
All'inizio di maggio torna a Parigi e scrive in una lettera alla figlia Irina:
Sono appena arrivato da Roma in automobile (Isotta Fraschini), l'ho comprata lì a buon mercato per un caso. A Roma ho cantato per due sere il Boris Godunov, ho avuto un successo colossale. Aleksej Maksimovič è venuto da Sorrento per ascoltarmi. Abbiamo passato insieme alcune serate piacevoli. Ha deciso che a maggio tornerà in URSS (Groševa, vol. I, p. 525).
1931 Il 4 febbraio al Teatro alla Scala di Milano va in scena il Boris Godunov in cui Šaljapin canta in italiano:
In questo artista, nel quale la potenza dell'attore raggiunge un limite non facilmente superabile, il personaggio centrale dell'opera trova un'evidenza scenica suggestiva, che tocca il suo culmine nella grande scena del secondo quadro del secondo atto. Per di più ieri sera lo Scialiapin volle cantare in italiano, come non faceva più dal 1909: ed è stato così possibile a tutti seguire anche la sua dizione musicale e ammirarne tutta l'intensità espressiva, sempre raggiunta pure attraverso la difficoltà della pronuncia. E le sei scroscianti unanimi acclamazioni che l'han salutato al termine della scena delle visioni sono state la testimonianza più viva e diretta dell'alto compiacimento del pubblico («Corriere della Sera», 5 febbraio 1931, p. 5).
1933 Il 28 marzo tiene un concerto a Roma al Teatro Argentina: accompagnato al piano da Ivan Basilevskij, canta in russo pagine di Beethoven, Schumann, Mozart, Musorgskij, Massenet e Rimskij-Korsakov "trattando i vari musicisti con concetti originalissimi" («La nuova Italia musicale», aprile 1933). Per il pubblico romano, tutti i testi del programma sono tradotti in italiano dal genero di Š. Ermete Liberati.
Lo Scialiàpin non ha bisogno di truccarsi da "Zar Boris" o da "Don Chisciotte" per essere infinitamente espressivo. Alto di statura, col volto mobilissimo, ora severo, ora arguto, ora sdegnoso, ora affabile, egli, anche senza aprire la bocca e pronunziare una parola, sa dire... tutto ciò che vuole. E quando canta, riesce a piegare la sua generosa voce di basso a qualsiasi effetto: suoni cupi, cavernosi e "falsetti" da tenorino ventenne. Intonazione sempre esatta, e nel registro medio e acuto, una chiarezza di timbro quale pochi baritoni potrebbero vantare. Il tempo ha rispettato l'ugola dello Scialiàpin e perciò il cantante si trova tuttora in grado di procurare ai suoi ascoltatori emozioni potenti («La Tribuna», 29 marzo 1933).
Il cantante è particolarmente soddisfatto dell'esito dell'esibizione romana e si compiace di risultare gradito al pubblico italiano, il più esigente, che gli aggiudica il primato non solo tra i bassi, ma tra tutti i cantanti:
A Roma ho avuto un successo, credo, senza precedenti. Ne vado orgoglioso, gli italiani (i loro critici più severi) come in un'unica voce hanno scritto: Šaljapin è davvero il più grande cantante (nota bene) del nostro tempo. Ormai sono vecchio e non ho bisogno di crescere in elogi, ma leggere che loro, i romani, non solo non avevano ancora ascoltato niente del genere, ma neanche lo avevano immaginato, mi ha davvero reso felice e lusingato (Groševa, vol. I, p. 536).
Bibliografia
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«Corriere della Sera», 9 marzo 1904.
«La Gazzetta dei teatri», 10 marzo 1904.
«La Perseveranza», 15 gennaio 1909.
«Corriere della Sera», 12 aprile 1912.
«Il Tevere», 20 aprile 1929.
«La Tribuna», 20 aprile 1929, p. 3.
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«La Tribuna», 29 marzo 1933.
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Cento anni di vita del Teatro San Carlo. 1848-1948, Napoli, Ente autonomo del Teatro di San Carlo, 1948, p. 131.
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C. Gatti, Teatro alla Scala. Nella storia e nell'arte (1778-1963). Cronologia completa degli spettacoli e dei concerti a cura di Giampiero Tintori, Milano, Ricordi, 1964.
E. Groševa (pod red.), Fedor Ivanovič Šaljapin, 3 T., Moskva, Iskusstvo, 1976-1979.
A. F. Guidi, Un tribunale rivoluzionario russo in Italia, «l'Epoca», 25 novembre 1919.
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S. Sadie (ed. by), The New Grove Dictionary of Opera, Vol. IV, The Macmillan Press Limited, London, 1994, pp. 348.
N. N. Solokov (sost.), Fedor Šaljapin. Vospominanija. Stat'i, Moskva, Natalis - Ripol Klassik, 2004.
Fonti archivistiche
Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell'Interno, Polizia Politica, Fascicoli personali, b. 288, f. Chaliapine Fedor.
Nota
Nelle fonti italiane s'incontra Chaliapine, Chaliapin, Scialapin, Scialiapin, Fedor, Feodor, Teodoro.
Siti interessanti
http://all-moscow.ru/culture/museum/chaliap/chal.ru.html
http://www.cs.princeton.edu/~san/basses.html
Nella foto Šaljapin in un quadro di S. A. Sorin (1930)
http://www.belcanto.ru/chaliapin.html
Agnese Accattoli
Scheda aggiornata al 9 novembre 2020