Pur trasferendosi a Roma nel 1875, i fratelli prendono parte alla vita artistica russa: partecipano alle esposizioni della Società d’arte di Pietroburgo (1879) e dell’Associazione dei pittori pietroburghesi tenutasi a Mosca (1898), nel 1901 allestiscono una mostra nella città di Perm’. Ogni estate tornano, puntualmente, nella tenuta di Zavod-Michajlovskij (e ciò varrà loro l’appellativo di "uccelli migratori"). Le loro opere ricevono una calorosa accoglienza, il famoso collezionista Pavel Tret’jakov acquista per la sua collezione Meduza [Medusa] di Pavel Aleksandrovič, Ulica v Pompee [Strada di Pompei] e Na beregu Tibra [Sulle rive del Tevere] di Aleksandr Aleksandrovič. A Roma i fratelli allestiscono uno studio in via Margutta, come ricorda Žabotinskij:
Lo studio dei fratelli artisti, ben noti agli habitué delle mostre pietroburghesi, una sala alta ed ampia, vivacemente illuminata, non è costellato, come di consueto, da una moltitudine di schizzi e studi, e ciò gli dona un che di desertico.
- È poco che ci siamo sistemati qui, mi spiega il giovane dei sigg. Svedomskie (Žabotinskij, 1898).
Partecipano attivamente alla vita artistica della capitale e sono spesso ritratti nelle memorie dei contemporanei (ad es. Nesterov 1959). Nel 1906 Aleksandr prende parte, assieme ad Enrico Glicenstein, Eolizaveta Krasnuškina, Sergej Bakalovič ed altri, alla mostra di artisti russi allestita presso la Biblioteca Gogol' in via Gregoriana. L’evento riecheggerà con toni entusiastici sulle pagine de «Il giornale d’Italia»:
Nella sala di lettura di via Gregoriana gli artisti russi residenti a Roma hanno organizzato una mostra. […] Quella Ruskaia citalnaia [sic] è una istituzione veramente simpatica e utile. Mancava a Roma un luogo di riunione ove molti intellettuali russi – artisti e musicisti, letterati o professori – potessero incontrarsi, conoscersi e anche farsi conoscere al popolo che li ospitava. La colonia russa, specialmente quella più colta, che vive di studio e di lavoro, mancava di unità e i suoi membri vagavano dispersi di caffè in caffè, quasi ostili l’uno all’altro, poco noti alla popolazione e poco desiderosi di farsi conoscere da lei. […] Questo primo tentativo di una mostra di opere d’arte, è stata dunque una buona idea, un’idea che mi auguro porti buoni frutti e sia il ferme d’imprese più complete e più vaste. Fra le tele esposte sono soprattutto notevoli gli studi di paese del Kolmikow, un simpatico impressionista dalla tecnica larga e dal colorito armonioso; due quadri e alcune acqueforti divinamente disegnate della signorina Krasnuschkina; i pastelli del Glicenstein, di cui si ammirano anche due forti lavori di scultura; i ventagli floreali del Belin di cui mi piace citare fra gli altri una delicata armonia bianca e verde di fiori d’eucaliptus; un tramonto egiziano pieno di poesia del Bakalowicz; due paesi di Alessandro Swiedomsky, e due altri del Yugianine, le acqueforti dello Knuckiel, e molte e molte altre che rendono la piccola mostra degna d’interesse e d’incoraggiamento. Il quale incoraggiamento, che non dovrà mancarle da parte del pubblico italiano, potrà permetterle un giorno di offrirci una esposizione d’arte in cui tutte le attività russe, che non sono scarse né di scarso valore, possano essere degnamente rappresentate («Il giornale d’Italia», 22 marzo 1906).
Se nelle tele del fratello Pavel l’Italia entrerà nelle fattezze armoniose delle bellezze romane e nelle feste, in Aleksandr protagonisti sono i paesaggi (Kazarinova sottolinea come nella sua collezione italiana predomini la natura pompeiana e caprese, unitamente alle vedute di città, Kazarinova 2004). Si unisce in matrimonio con Anna Kutukova, pianista e cantante di origine tartara, che gli darà una figlia, Anna Aleksandrovna Svedomskaja. Muore a Roma il 1° giugno 1911 e viene sepolto nel cimitero acattolico di Testaccio.
A. A. Svedomskij, A Michajlovskoe. Sulla terrazza, 1895-1900.
A. A. Svedomskij, Nel cortile di un ostello romano, 1878, Permskaja chudožestvennaja galereja.