Aleksandr Archipenko,
Pierrot Carousel
1913, Solomon R. Guggenheim Museum, New-York
A far data dal 1909-1910 anima il panorama artistico romano l’avanguardia futurista, che organizza conferenze e recite nei caffé e locali alla moda, immancabilmente seguite da polemiche e scambio di insulti. Per combattere l’apatia delle istituzioni pubbliche, Giuseppe Sprovieri, giornalista della “Tribuna”, inaugura il 6 dicembre 1913 in via del Tritone, 125, con la direzione artistica di Luciano Folgore, la Galleria Futurista Permanente, che si impone subito quale attivo luogo di ritrovo per mostre, spettacoli e letture di poesie d’avanguardia; tra il pubblico che affolla la galleria - intellettuali, artisti, scrittori e poeti.
Centro propulsore delle nuove tendenze, la Galleria Futurista Permanente ospita nell’aprile-maggio 1914 una Esposizione libera futurista internazionale, in cui sono presentate opere di
Aleksandr Archipenko,
Alessandra Ekster e Ol’ga Rozanova accanto alle tele di Depero, Marinetti, Martini, Morandi, Prampolini, Rosai, Cangiullo, Sironi e altri; dai ricordi di Giuseppe Sprovieri si apprende che parteciparono alla mostra – senza essere citati nel catalogo – anche
Michail Larionov e
Natalija Gončarova di passaggio da Roma, per assistere alle prove del balletto
Le coq d’or.
Aleksandr Archipenko, che è nel periodo delle sculto-peintures, in cui gioca con spazi vuoti, concavi-convessi, con forme geometriche, per superare l’esperienza della scultura monocroma, a Roma espone
Natura morta, Ritratto di signora, e il famoso
Pierrot Carousel, oggi al Solomon R. Guggenheim Museum di New-York. Aleksandra Ekster – per il rapporto con Soffici che l’ha avvicinata al simultaneismo dinamico di Boccioni – è in una fase di elaborazione del cubofuturismo, ritrae notturni luoghi dinamici, animati nelle masse geometriche dal ritmo inesausto della città moderna; rispecchiano le sue ricerche recenti i quadri presentati a Roma:
Ritmi al caffè, Luci del Boulevard des Italiens, Scomposizione di un vaso di fiori. Rozanova presenta due libri autoscritti e litografati nel gusto della poesia visiva italiana e alcune tele, che esprimono un linguaggio pittorico mutuato dal dinamismo plastico italiano:
Il porto, La dissonanza, L’uomo nella strada, La fabbrica e il ponte.
Un secondo momento di incontro russo-italiano è orchestrato nel 1917 in occasione della
tournée dei Balletti russi di
Sergej Djagilev in Italia. L’impresario, astuto regista di ogni nuova iniziativa, allestisce una mostra dei quadri di
Leonid Mjasin nel foyer del Teatro Costanzi e un successivo spettacolo con un brano sinfonico del balletto
Petruška, Feu d’artifice e l’
Oiseau de Feu di
Igor' Stravinskij, diretti personalmente dal musicista. Per preparare la
tournée erano giunti a Roma sin dal settembre 1916 il regista
Sergej Grigor’ev con Michail Larionov e Natalija Goncarova, ai quali si erano aggiunti nei mesi seguenti
Leon Bakst venuto per le scene e i costumi di
Les Femmes de Bonne Humeur; Cocteau e Picasso, venuti per
Parade, e
Stravinskij per dirigere
L’oiseau de feu e
Feu d’artifice. La concentrazione di artisti russi a Roma non è mai stata così sbalorditiva!
L’accoglienza riservata dal pubblico romano agli spettacoli è straordinaria; l’eco delle rappresentazioni parigine dei Balletti russi ha varcato le Alpi e creato un clima di fervida attesa. L’evento che più sbalordisce il pubblico è lo spettacolo
Feu d’artifice, azione scenica di luci in movimento su forme plastiche colorate, puro gioco luminoso ideato da Giacomo Balla sulla musica di Stravinskij. Sostituiscono i ballerini strutture di legno tridimensionali (coni, spirali, raggi, piramidi), rivestite di stoffe e carte dai colori squillanti, illuminate da dietro, che si accendono e spengono a tempo di musica.