Nel marzo 1936 Vjačeslav Ivanov, terminato per limiti di età l'incarico presso il Collegio Borromeo di Pavia, si trasferisce definitivamente a Roma e va ad abitare insieme alla figlia Lidija e ad Ol'ga Šor in un appartamento sul Campidoglio, in via Monte Tarpeo, da cui si gode una splendida vista sulle rovine romane. L'appartamento è composto da cucina e 4 camere; dalla stanza principale che serviva da salotto e sala da pranzo, si apriva una porta a vetri da cui si cadeva nel ‘vuoto' di un magnifico panorama (Z. Gippius, Poet i tarpejskaja skala, p. 371): a destra il Palatino e a sinistra il Foro Romano e il Colosseo. Da lì si accedeva anche ad un piccolo "giardino magico", in cui c'erano una vasca con pesci rossi, una copia del Mosé di Michelangelo, alberi di loto e un enorme glicine, i cui rami ricoprivano l'intero palazzo di 4 piani.
L'appartamento, chiamato "rupe Tarpea", diventa immediatamente luogo di incontro per i russi che vivono a Roma e per quelli di passaggio: Ol'ga Signorelli e la sua famiglia; il pittore e architetto Andrej Beloborodov, chiamato Beló dagli amici; il pittore Sergej Petrovič Ivanov, presentatosi un giorno in via Monte Tarpeo con l'intento di fare un ritratto al poeta; Dmitrij Merežkovskij e Zinaida Gippius.
Nell'appartamento di Monte Tarpeo, un bel giorno, mentre Ivanov sta prendendo il tè insieme alla famiglia e agli amici, si presenta anche Ivan Bunin. Lo accolgono con gioia e iniziano a fargli mille domande: il famoso scrittore, vincitore del premio Nobel nel 1933, ha un aspetto furibondo, "ferino", in quanto tutti hanno preso a chiedergli prestiti e i soldi del Nobel sono ben presto finiti. Valentina Preobraženskaja, amica e organizzatrice delle mostre di Beloborodov, lo invita a visitarne una l'indomani, ma quando si reca all'albergo dello scrittore scopre la sua improvvisa partenza. Da quel momento Bunin non si vedrà più.
Altri illustri abitanti di via Monte Tarpeo, anche se non avevano rapporti personali con la famiglia Ivanov, sono l'editore Angelo Fortunato Formiggini e il pittore Corrado Cagli (1910-1976), che dipinge proprio in quel periodo il ritratto del poeta Antonello Trombadori. Posando nello studio del pittore, Trombadori sente il suono di una musica provenire dall'appartamento di Ivanov e ricorderà questo dettaglio in un sonetto:
Lo studio stava su a Monte Tarpèo
E, fòri, un pianoforte da solista
Pareva che sonassi in cerzidèo.
Veniva da la loggia der poèta
Viaceslàvo Ivanòffe, er zimbolista,
Tutta fitta de glicine e segreta
(«Il Messaggero», 30.10.1983, p. 7).
Ivanov esce poco di casa, ma frequenta ogni domenica la chiesa dell'Aracoeli sul Campidoglio e poi la Cappella del Crocifisso. Esce sulla piazza del Campidoglio quasi esclusivamente per accompagnare ospiti a cui tiene in modo particolare.
Nel 1939 Ivanov è costretto a lasciare l'appartamento di Monte Tarpeo, perché il Governo decide di ripristinare l'aspetto che il colle aveva ai tempi di Michelangelo; per questo la casa del poeta è abbattuta, nonostante i tentativi dei marchesi Guglielmi di salvarla apponendovi una targa commemorativa del soggiorno di Eleonora Duse. Durante i lavori gli archeologi scopriranno che sotto quella via si nascondeva una parte della via Sacra.
Zinaida Gippius ricorda che la "rupe" di Ivanov veniva definita un "quasi-paradiso" che le richiama alla mente la torre pietroburghese:
«al posto della "torre" c'è la rupe Tarpea e "le nude reliquie" di Roma. Al posto della folla rumorosa di nuovi poeti, dietro un tavolino da tè siede un giovane seminarista in tonaca nera o uno studioso italiano» (Gippius, Poet i tarpejskaja skala, p. 372).