Uno degli incontri più importanti di questi anni è la conoscenza e la successiva lunga amicizia con lo storico Ivan Michajlovič Grevs, che, come Ivanov ricorderà in seguito:
Tra i poeti del secolo d'argento Ivanov è quello maggiormente legato all'Italia: dei 43 anni vissuti all'estero circa 30 li ha trascorsi in Italia. "L'Italia ha ricevuto e trasformato il retaggio della Grecia e di Bisanzio (...) L'amore per l'Italia è indice di un'elevata cultura" – scrive in un appunto non datato (Archivio russo-italiano I, Trento 1997, p. 503) e ribadisce nel 1892, quando giunge per la prima volta nella Città Eterna: "Sono fedele alla mia patria, ma venero Roma come una nuova patria" (I, 638), confessando in una poesia del 1944: "Te per tutta la vita ho glorificato / che per me sei divenuta patria" (III, 607).
Durante il primo viaggio a Roma avviene un evento assai importante per il poeta: l'incontro con Lidija Dimitrevna Zinov'eva-Annibal, che diventerà la sua seconda moglie; la chiarificazione decisiva tra i due avviene al Colosseo, come ricorda nel 1908: "La nostra prima ebrezza, ebrezza rea di libertà, / benedisse / spettrale il Colosseo" (II, 398). Il viaggio ad Assisi nel 1897 è per entrambi una rinascita interiore. "I colli turchini della patria di San Francesco hanno allargato i confini della mia anima (...) In generale siamo tornati da quel nostro viaggio fortemente rinnovati e abbiamo iniziato in maniera infinitamente più profonda a capire l'arte, cioè il gradino più elevato dell'esistenza umana. (...) Qui in Italia ci siamo sentiti più che mai nella nostra patria spirituale" (L. D. Zinov'eva-Annibal a Grevs, 17/29 gennaio 1898). Il racconto mitopoetico sulla rivelazione della Sofia-sapienza ad Assisi, circondata dal "cristallo dei monti umbri", è alla base dei versi di
Bellezza, manifesto estetico e filosofico di Ivanov-poeta. Questa poesia, che apre il libro
Astri nocchieri (1902) è dedicata a Vladimir Solov'ev: seguendo l'itinerario del filosofo, Ivanov arriva alla formula
a realibus ad realiora, che ispira la sua concezione "verticale" del simbolo in quanto tale e dell'arte simbolica in generale ed è alla base della sua creazione poetica. Una parte a sé nel libro è costituita dal ciclo
Sonetti italiani (22 poesie), dedicato all'antichità, alle città e agli artisti italiani; l'epigrafe del libro è tratta da una terzina del
Purgatorio, tradotta per l'occasione da Ivanov in russo: "Poco parer potea lì del di fori; / ma, per quel poco, vedea io le stelle / di lor solere e più chiare e maggiori" (Canto XXVII, vv. 88-90).
L'attenzione particolare rivolta a Dante – sia per la forma (in particolare la predilezione per il sonetto italiano) che per il contenuto (Ivanov individua in Dante il principio di
a realibus ad realiora) – viene riproposta più volte negli articoli teorici del poeta. A Dante risale la specifica complessità e ricchezza della poesia ivanoviana, ma anche la scarsa accessibilità dei suoi versi per alcuni contemporanei: "Per capire Ivanov bisogna risalire a Dante" ha scritto L. V. Pumpjanskij. Gli studiosi contemporanei sono giunti alla conclusione che in Ivanov e nella corrente ivanoviana del simbolismo russo è presente un "codice dantesco".
I primi progetti di Ivanov di tradurre Dante risalgono all'inizio del XX secolo, quando la casa editrice Brockhaus ed Efron pianifica un'edizione delle opere del poeta fiorentino. In periodi diversi Ivanov si dedica alla traduzione della
Divina Commedia, della
Vita Nova e del
Convivio. Nel 1910 firma un contratto con Brockhaus ed Efron per una traduzione commentata della
Commedia, in versi e in prosa. Dopo poco tuttavia la casa editrice viene chiusa e il progetto non si realizza, nonostante i numerosi tentativi di Ivanov di trovare un altro editore disposto a pagare il lavoro intrapreso. Così come non giunge a buon esito il progetto di traduzione e pubblicazione delle opere poetiche di Michelangelo presso la casa editrice del teatro Vs. Mejerchol'd (gli otto sonetti scritti da Michelangelo nella versione di Ivanov sono stati pubblicati solo di recente in «Russica Romana», 1995, II). Si conclude, invece, con successo il progetto di un "Petrarca russo", realizzato in collaborazione con Michail Geršenzon, che vede la luce a Mosca presso la casa editrice di M. e S. Sabašnikov (
Petrarca. Autobiografia. Confessione. Sonetti, 1915). Per questa edizione Ivanov traduce le citazioni poetiche del trattato
De contemptu mundi e 33 sonetti del
Canzoniere. La stessa casa editrice prepara anche la pubblicazione del
Convivio di Dante: la parte in prosa viene tradotta da V. F. Ern e quella poetica da Ivanov (questo lavoro solo di recente è stata pubblicato in «Europa Orientalis» 2003, I, pp. 233-295).
Trasferitosi definitivamente a Pietroburgo nel 1905, Ivanov torna in Italia solo nell'ultimo periodo del settennato trascorso nella torre: vive a Firenze e a Roma nell'agosto-ottobre 1910. L'anno vissuto a Roma dall'autunno 1912 all'autunno 1913, dedicato alla traduzione di Eschilo, separa i sette anni trascorsi a Pietroburgo dagli altrettanti anni trascorsi a Mosca.
Nel luglio 1920 il poeta tenta di lasciare la Russia sovietica con la famiglia per venire in Italia, indicando tra i motivi del viaggio la fondazione in Italia di un Istituto di letteratura e arte russa (lettera di Ivanov a N. K. Krupskaja-Lenin del 18 luglio 1920, «Novoe Literaturnoe Obozrenie» 1999, n. 40, p. 309), ma il Reparto speciale della Čeka non acconsente alla partenza.
Nell'autunno 1920 Ivanov si trasferisce a Baku, dove viene nominato professore dalla locale università e tiene tra gli altri un corso su "Dante e Petrarca". Il successivo tentativo di lasciare l'URSS nell'agosto 1924 ha successo: tra i compiti da portare a termine in Italia c'è la fondazione di un Istituto russo di archeologia, storia e critica d'arte. Nonostante il forte interessamento del direttore del Narkompros A. V. Lunačarskij e del direttore del GAChN P. S. Kogan, la fondazione dell'istituto viene fermata sin dalla fase iniziale.
Nel novembre-dicembre 1924 a Roma Ivanov crea il ciclo poetico
Sonetti romani, nella prima redazione
Ave Roma (una traduzione prosastica in italiano del primo e del nono sonetto fatta dal poeta stesso appare sulla rivista «Il Frontespizio», 1930, n. 9, p. 5). Questo ciclo occupa un posto esclusivo nell'opera matura del poeta e in generale nel ‘testo romano' della cultura europea del XX sec. All'inizio del soggiorno italiano risale l'amicizia con
Ol'ga Resnevič Signorelli, più tardi con Renato Poggioli e
Tat'jana L. Suchotina-Tolstaja. Particolarmente proficuo è il rapporto con Ettore Lo Gatto che lo coinvolge in una serie di progetti scientifici e editoriali, in particolare nella collaborazione con l'Enciclopedia Italiana Treccani.
Dal 1926 al 1934 Ivanov occupa il ruolo di docente-lettore di lingue straniere al Collegio Borromeo di Pavia e contemporaneamente tiene dei corsi di letteratura russa all'università di Pavia. Qui entra a far parte della cerchia lombarda di Pietro Treves, Stefano Jacini, Antonio Casati e del duca Tommaso Gallarati-Scotti. Fanno visita a Ivanov al Collegio Borromeo Martin Buber, Fedor Zelinskij, Alessandro Pellegrini e nel marzo 1934 Benedetto Croce. L'incontro con il filosofo alla presenza degli amici lombardi si trasforma in un "dialogo drammatico, doloroso e a momenti – anche se contenuto dalla correttezza – violento" (T. Gallarati Scotti,
Interpretazioni e memorie, Milano 1960, p. 347).
Nel 1934 per iniziativa di Pellegrini nella serie monografica della rivista «Il Convegno» viene pubblicato un numero dedicato all'opera di Vjačeslav Ivanov. Tra gli autori figurano Gabriel Marcel, Fedor Zelinskij, Ernst Robert Curtius, Herbert Steiner, Fedor Stepun, Nikolaj Ottokar, Leonid Gančikov. Pellegrini scrive un saggio sulla
Corrispondenza da un angolo all'altro di Ivanov e Geršenzon uscita nel 1932 nella traduzione di Ol'ga Signorelli. È di assoluto rilievo per la cultura italiana come per quella dell'Europa occidentale che un numero monografico sia dedicato a un emigrato russo.
Tornato definitivamente a Roma alla fine del 1934, dal 1936 Ivanov inizia ad insegnare slavo-ecclesiastico al collegio vaticano Russicum e all'inizio del 1938 per decisione di papa Pio XI viene creato per lui il posto permanente di professore (lettera del cardinale Mariani al rettore del Russicum Philippe De Régis del 7 febbraio 1938). Al Russicum e al Pontificio Istituto Orientale Ivanov tiene anche brevi corsi di letteratura russa e, in particolare, nell'anno accademico 1939-1940 fa un corso su Dostoevskij. Dalla fine degli anni Trenta è coinvolto nel progetto di un'edizione commentata delle
Sacre Scritture in lingua russa, per la quale prepara
Atti degli Apostoli,
Lettere degli Apostoli, Apocalisse (Roma 1946) e il
Salterio in lingua slava e russa (Roma 1950), anche se il suo nome non figura nei due testi.
Dal 1941 in collaborazione con Rinaldo Küfferle lavora alla versione italiana di una delle sue principali opere mitopoetiche, la melopea
L'Uomo. La partecipazione di Ivanov all'elaborazione della versione italiana, che si discosta molto da quella russa, è tuttora oggetto di ricerca.
L'ultimo libro di versi, scritti in Italia, è il
Diario romano 1944 (la prima delle 114 poesie è datata 1 gennaio, l'ultima 31 dicembre), cronaca poetica dell'occupazione di Roma da parte dei nazisti, delle incursioni aeree e della liberazione della città da parte degli alleati che si interrela con le tematiche eterne della storia e la ricerca della verità. Lo stesso titolo del libro contiene un paradosso, perché la determinazione temporale, l'anno 1944, è riferita al
topos della città eterna. Il
Diario romano, anticipato dai
Sonetti romani, viene incluso nell'ultima raccolta poetica
Luce vespertina (Oxford 1962).
Ivanov muore il 16 luglio 1949 ed è sepolto al
cimitero di Testaccio. La data del 16 giugno, indicata in
Russkie pisateli 1800-1917. Biografičeskij slovar' (Moskva 1992, t. 2, p. 372), è errata.