Il film ottiene recensioni discordanti sulla stampa italiana, soprattutto per quanto riguarda l'accurata messa in scena. Filippo Sacchi scrive sul «Corriere della sera» che il film "produce alcuni quadri di una finezza di toni quasi celestiale", mentre nel «Gazzettino» di Venezia del 18 agosto possiamo leggere:
Il regista non ha saputo solamente ricostruire un ambiente con meraviglioso impeto creativo. Da questo ambiente ha fatto anche scaturire il grande, l'eterno motivo umano. Non diremo dell'eccellenza della fotografia e del magistero suggestivo di alcune inquadrature. Sono dati che i registi russi hanno in comune. Però, certe mattinate grigie sul fiume che si accende alle prime luci, quel turbinare della bufera nell'ombra cupa della notte, son cose di eccezionale bellezza (18.8.1934).
La cura nella ricostruzione storiografica risulta tuttavia un arma a doppio taglio. Così un giornalista anonimo sulla «Gazzetta di Venezia» sentenzia: "Non crediamo tuttavia che in queste ricostruzioni storico-romanzate vi siano le migliori e più significative realizzazioni russe dell'ultimo biennio", mentre Sandro De Feo scrive: "Il film è straordinariamente più bello che convincente". Sulla stessa scia Corrado Pavolini scrive su «Scenario»:
È la tecnica che tende al levigato, all'abile e al suggestivo, è la persuasione stilistica che fa difetto. Un che di predisposto, quell'odorino maledetto dei teatri di posa ecco s'infiltra anche nel film sovietico, ne dinerva la rude umanissima potenza obbiettiva. E la sensazione è questa, che i tempi eroici siano finiti (settembre 1934).
Nelle sue memorie, Grigorij Rošal' dedica numerose pagine al soggiorno veneziano, ai suoi compagni di viaggio e alla Mostra di Venezia:
Scendemmo verso il mare e iniziammo a vagare per la spiaggia, sedendoci di tanto in tanto nelle cabine. Camminando lungo la fila di capanne osservammo le famiglie sistemarsi sulle sedie a sdraio e sulla sabbia con caraffe piene di succo e bicchieri da cocktail. Poi andammo fino alla fine della spiaggia privata dell'albergo, oltre la quale iniziavano altri lidi, ben più popolari e ben più vivaci. Lì, proprio come da noi, la gente beveva a canna e mangiava salsicciotti, giocava a pallavolo, il tutto con un'espressività tipicamente italiana, simile all'espressività delle nostre spiagge georgiane; lì la gente si spintonava, litigava, imprecava, rideva. [...] A quel punto avevamo studiato per bene il pubblico del festival. Il suo comportamento aveva dell'incredibile. Quei signori in smoking e quelle dame dalle spalle abbronzate si comportavano peggio di ragazzini maleducati, per non dire di teppisti. Se c'era qualcosa che non piaceva loro, iniziavano a fischiare e ad azionare rumorosi marchingegni portati per l'occasione, il tutto scandendo chissà quali oscenità. Poco mancava che gettassero sullo schermo uova marce o chissà cos'altro con le fionde. Evidentemente il fascismo aveva importato il proprio stile in questa attività festivaliera, anche se per il resto la sua presenza non si avvertiva in nessun modo. Non c'erano né camicie nere né poliziotti né svastiche, niente di tutto ciò. Ciò nonostante, questo fascismo era ben presente. Come ci avevano detto, tutt'intorno pullulava di agenti della polizia segreta. E in questa situazione a noi toccava mostrare film sovietici? Sì, c'era di che temere (G. Rošal' 1974, pp. 244-245)
Successivamente a Mosca il regista lavora negli studi Mosfilm e Leninfilm, dagli anni Cinquanta insegna all’Istituto statale di cinematografia e negli anni Settanta all’Istituto di cultura di Mosca.