Nell'ottobre 1909 il prefetto di Napoli, sollecitato a intensificare la vigilanza sui russi residenti nella provincia in vista della venuta dello zar in Italia, a Racconigi, informa il Ministero dell'Interno:
Dimora qui il noto Giovanni Bergamasco nato a Pietroburgo, il quale, però, può ormai considerarsi più napoletano che russo, e che, militante da molti anni nei partiti estremi locali, adesso, come già nel 1903, all'annunzio della possibilità della venuta in Italia di S. M. lo Czar si è dato alla più arrabbiata propaganda anti-czarista (Il Prefetto di Napoli al Ministro dell'Interno. Napoli, 14 ottobre 1909).
Dopo una lunga serie di noie giudiziarie e brevi arresti prima del fascismo a causa della sua fede anarchica e socialista, durante il regime subisce il primo vero arresto nel 1932 per aver protestato a nome degli italiani in Russia, vessati dal governo sovietico e non assistiti da quello italiano. L'anno successivo è nuovamente fermato per aver improvvisato un volantinaggio antisovietico a bordo di una motonave russa ancorata nel porto di Napoli. Ormai lontano dalla politica attiva, nella maturità non perde occasione per esternare la sua ostilità contro il governo sovietico, odiato per aver instaurato un regime tirannico, per aver ucciso suo fratello e depredato la sua famiglia russa di tutti i beni, e rimprovera al fascismo di aver stretto alleanze con i bolscevichi.
Nel 1935 si trasferisce a Roma, dove vive la figlia Elvira, e nel luglio dello stesso anno è fermato per oltraggio alla sede dell'ambasciata sovietica e in seguito ricoverato in manicomio. Spesso definito "squilibrato" nei documenti della Pubblica sicurezza, Bergamasco è internato diverse volte in ospedali psichiatrici da cui esce sempre "guarito" nel giro di pochi giorni.Per denunciare le persecuzioni subite dal regime, nel 1936 invia una lettera, mai pubblicata, ai giornali "Il Messaggero", "La Tribuna" e "Il giornale d'Italia":
I bolscevichi mi espropriarono, i fascisti fecero assai di peggio: essi mi tolsero i miei diritti politici e civili: mi levarono il permesso d'armi, il voto politico ed amministrativo, mi cancellarono dall'elenco dei professori governativi alle scuole medie, m'impedirono di continuare la professione di giornalista ecc. ecc. Tre volte mi mandarono al manicomio, sperando di murarmici dentro, e tre volte uscii, dopo pochi giorni, dichiarato sano di mente. Una ventina di volte venni arrestato per essere poi rilasciato dopo un tempo più o meno breve... (CPC. Roma, 28 aprile 1936).
Bergamasco invia diverse lettere di protesta anche a Mussolini, di cui è stato amico e collega a "L'Avanti":
"Nei suoi giornali, più volte, nei tempi andati, Ella aveva lodato la mia correttezza ed onestà, ebbene, quando le dico di non aver alcuna intenzione – vecchio come sono di 75 anni – di fomentare agitazioni, ecc., Ella mi può perfettamente credere ed ordinare che la polizia mi lasci in pace" (CPC. Lettera a Benito Mussolini, 22 ottobre 1937).
Disperato perché privato della possibilità di lavorare e continuamente afflitto dall'invadenza della polizia, nel settembre 1938 Bergamasco tenta di suicidarsi tagliandosi le vene, ma viene soccorso e curato all'ospedale S. Giovanni di Roma.
Nel 1940 è arrestato nuovamente per oltraggio al Duce e assegnato a cinque anni di confino politico alle isole Tremiti, dove era stato già internato nel 1886. Molto malato e anziano, nel 1942 ottiene di essere trasferito in un comune della terraferma, per lui più salubre. Quindi, dopo un ulteriore anno di confino politico scontato a Lauro di Nola (Avellino), muore per arresto cardiaco all'età di 80 anni.