Nel 1923 si esibiscono in Italia, il 5 e il 6 maggio alla Fenice di Venezia per la direzione del maestro Sergej Sokolov. Nel corso dello spettacolo, si alterna il canto di romanze popolari russe a coreografie e danze su analoghi motivi. Il 27 giugno 1923 il coro cosacco si esibisce al Teatro Argentina di Roma riscuotendo i favori del pubblico e della critica:
Il pubblico romano che quasi sempre ha l'esatta percezione dell'importanza di un avvenimento musicale, è accorso iersera in folla all'annunziato concerto del coro dei "Cosacchi del Kuban". Il teatro "Argentina", colmo di ogni ordine di posti, presentava un aspetto solenne e gaio allo stesso tempo. Se bene l'attesa fosse estremamente vivace, i risultati dell'audizione furono tali, da superare di molto le generali aspettative. Sino dal primo numero del programma – una Serenata di Moisseoff – i pregi dei cantori russi si rivelarono veramente insigni. Questa compagine corale è piccola – conta in tutto una trentina di elementi. Ma il suo valore è eccezionale. Disciplina militare e fervore d'arte schiettissimo: affiatamento e intonazione addirittura mirabili. I "Cosacchi del Kuban" immobili nei loro caratteristici abbigliamenti alquanto severi, cantano con una profondità d'emozione quasi religiosa: nulla in loro di incomposto e di dilettantesco, nulla che sappia di istrionismo. Sono trenta artisti di generoso cuore, che ubbidiscono con sorprendente solerzia ai cenni del maestro Sokoloff, il quale – sia detto subito – è un direttore di grande sapienza, baldo, energico e sempre nobile.
Taluno, iersera, voleva istituire un paragone tra il "coro dei Cosacchi" e quello dei "Maestri Moravi", così popolare fra noi per i suoi recenti trionfi all'"Augusteo": orbene, noi, senza tema di errore, dichiariamo che i Cosacchi vincono i Moravi perché, pur avendo un'uguale disciplina, un identico entusiasmo artistico, hanno inoltre, voci più naturalmente armoniose e la loro lingua si presta meglio di quella ceka-slovacca al canto: si sa infatti che l'idioma russo è dolcissimo alla pronunzia, tanto da poter gareggiare in melodiosità con l'italiano.
Il coro dei Cosacchi poggia su di una base robusta oltre ogni dire: i bassi, che formano il piedistallo dell'edificio armonioso hanno una risonanza che sbalordisce l'ascoltatore: talvolta sembra di udire le note gravi di un organo magnifico, tal altra si pensa al controfagotto e persino al bass-tuba: in Italia, non abbiamo nulla di simile. I tenori, per conto loro, sanno compiere amabili prodigi di virtuosismo, usando con superiore abilità del registro di falsetto, sì da ottenere effetti di colore inusitati. Si aggiunga che il senso ritmico dei coristi del Kuban è incomparabile e sarà facile comprendere come l'audizione di ieri sia stata piacevole, originale e significativa al massimo grado.
Il programma era composto di musiche non tutte belle, ma sempre atte a far valere il talento e la perizia dei cantori. Abbiamo ascoltato, con assiduo interesse, molte canzoni popolari (delle quali purtroppo il testo poetico era per noi inintelligibile) apprezzando in particolar modo il famoso canto Etuhnem trascritto dal Sokoloff e che è precisamente quello sfruttato con tanto effetto drammatico dal nostro Giordano nel secondo atto della Siberia, la deliziosa romanza popolaresca Crasni (Il garofano) del Sokoloff e due "Marcie di guerra". Anche il "mosaico di canzoni" composto dal Chelubin, ci è parso assai gustoso, soprattutto per il suo continuo svariare di ritmi e di accenti.
Il pubblico ha elargito applausi clamorosissimi ai coristi e al loro direttore dopo ogni numero del programma. Di alcuni brani si è voluta ad ogni costo la replica. La lieta festa è terminata con due danze cosacche nelle quali i ballerini Corvin e Usdanoff hanno mostrato agilità e somma vigoria. La seconda danza con uno strano periglioso giuoco di pugnali, ha destato nello stuolo degli spettatori un'attenzione palpitante. Questa sera i "Cosacchi del Kuban" si ripresenteranno per un secondo e ultimo concerto, svolgendo un ricco programma. Chi iersera se ne è stato pigramente a casa corra al nuovo convegno: trascorrerà un paio d'ore in perfetta letizia artistica e compirà, inoltre, un'opera buona in favore di un manipolo di valorosi sfuggiti agli orrori della guerra fratricida e della fame che imperversano nella Russia. Per chi non lo sapesse. I "Cosacchi del Kuban" hanno combattuto strenuamente contro i bolsceviki insieme col generale Wrangel. Fu la sorte dell'armi a lor funesta: ma ora l'arte radiosa li conforta, nel loro lungo pellegrinaggio in terra d'esilio («La Tribuna», 28 giugno 1923, p. 3).
Il coro è inoltre scritturato a Milano dal sig. Alessandrini presso il locale Conservatorio di musica. Continua in seguito la sua tournée a Biella e nel gennaio del 1924 a Genova, al Teatro Giardino d'Italia.
Tra il marzo e l'agosto del 1927, il coro, composto da 35 cantori e guidato da Boris Grabovskij e Simeon Ignatev, compie una tournée nel nord Italia con tappe a Trento (Teatro Sociale), Novara, La Spezia, Monza, Bologna, Padova, Belluno, Treviso, Vicenza (Teatro Verdi), Trieste (Teatro Politeama Rossetti), Udine, Pola, Gorizia. A Trieste, il prefetto dispone una vigilanza speciale, "con presenza teatro funzionari agenti conoscitori lingua slava", assiste di persona allo spettacolo del 22 maggio e trasmette il seguente resoconto:
Iniziavasi ogni sera con canto inno Giovinezza e svolgendosi fra unanimi applausi pubblico numeroso che gremiva teatro. [...] Presenza fra pubblico parte notevole popolazione allogena et entusiasmo di questa, appaiono spiegabili senza necessità ricorrere ipotesi di una manifestazione propaganda slavofila di cui non si hanno indizi. Durante spettacoli furono cantati brani suggestivi canzoni del Volga, ma non fu mai cantato né chiesto inno nazionale Russo, né si ebbero comunque manifestazioni che apparissero meritevoli rilievo aut segnalazione.