Giunge in Italia nel 1927 e il 21 febbraio si esibisce all'Accademia Filarmonica di Roma con un programma "potente e vario" (Il pianista Borovski alla Filarmonica, "L'Impero", 23 febbraio 1927, p. 3): Fantasia e Fuga per organo in sol minore (Bach), Sarabanda e Gavotta dalla Suite inglese in sol minore e due Corali per organo (Liszt), Tre sonate (Scarlatti), Sonata in mi maggiore, Op. 109 (Beethoven), la Marcia dell'opera L'Amore delle tre melarance e Gavotta in fa diesis minore (Prokof'ev), Preludio in si minore (Ljadov), Il volo del calabrone da Zar Saltan (Rimskij-Korsakov), Il Carnevale del balletto Petruška (Stravinskij), Sogno d'amore e XV Rapsodia (Liszt). Applauditissimo, Borovskij è molto apprezzato per la sua tecnica "cristallina" che sin dal principio dell'esecuzione "riempì di stupore gli ascoltatori", culminando con l'indiavolato Carnevale tratto dal Petruška stravinskijano e con una serie di musiche "reclamate" a fine concerto dal pubblico stesso. Lodata è soprattutto la sua esecuzione di Bach:
Nella Fantasia e fuga in sol minore di Bach, che apriva il programma il Borovski c'è apparso veramente grande, tutte le varie parti della fuga ebbero un risalto chiaro e sonoro, cosa che difficilmente ci è dato riscontrare nelle esecuzioni pianistiche di questa composizione per organo ("L'Impero", 23 febbraio 1927).
Nello stesso anno torna nel suo Paese (ormai Urss) per una serie di concerti. Tra le mete delle sue esibizioni anche il Sudamerica. Nel gennaio 1932 è di nuovo in Italia impegnato in una serie di concerti al Teatro del Popolo di Milano. La sua fama in Italia, già decantata per la data romana del 1927, come testimoniato da alcune recensioni apparse sui giornali dell'epoca – è definito "uno dei più forti concertisti dei nostri giorni", un "pianista, che senza dubbio è uno dei più forti che ci è stato dato di ascoltare" (Il pianista Borovskii..., cit.) – è ribadita anche per questo nuovo appuntamento con il pubblico italiano:
Il pianista Alessandro Borowsky, che è già stato ospite della Sezione Musicale del Teatro del Popolo, gode tra noi di una così larga fama, che non può meravigliare che l'annunzio di un suo concerto abbia fatto riempire ieri sera la sala del Conservatorio in modo inconsueto. Nell'esecuzione è stata ancora ammirato quell'insieme di qualità che attestano la serietà e l'equilibrio della sua arte. Il magnifico senso ritmico, la padronanza delle sonorità pianistiche in tutte le gradazioni necessarie allo stile, lo stupendo modo di legare, soprattutto nel genere polifonico, una sicurezza d'ingresso nei più diversi piani dell'espressione, che ha dello sbalorditivo: tutte queste doti, impiantate su una tecnica impeccabile, fanno sì che al Borowsky riesca di trasportare senza scosse e senza urti i suoi ascoltatori dalla sfera mistica dei Corali di Bach, al grottesco di un Sarcasmo di Prokof'ev, dalla lucida architettura delle Variazioni e fuga di Brahms su tema di Haendel, al precoce impressionismo dei Quadri d'una Esposizione di Mussorgskij ("L'Ambrosiano", 16 gennaio 1932).
È nuovamente a Roma nel febbraio 1938, in occasione di un concerto nella Sala di Santa Cecilia di Roma.
Nel 1941 (secondo altre fonti nel 1940) emigra negli Stati Uniti stabilendosi nella città di Boston dove è accolto favorevolmente dal pubblico. Qui ritrova Serge Koussevitzky (Sergej Aleksandrovič Kusevickij, 1874-1951), direttore della Boston Symphony Orchestra – conosciuto a Parigi durante il Festival musicale parigino del 1921 – con il quale inizia una lunga e fruttuosa collaborazione. Dal 1956, insegna all'Università di Boston.
A. Borovskij in una foto giovanile
A. K. Borovskij suona Liszt