Il 27 maggio 1920 Kopšik si esibisce con Valentina Preobraženskaja al Lyceum di Roma:
"Ieri la pianista signorina Valentina Preobragenskaia dette al `Lyceum' un concerto di musica russa interessando il colto pubblico sia per la qualità delle opere eseguite che per la sua personale interpretazione. Essa suonò il caratteristico Poulchinelle ed un preludio di Rachmaninov, una deliziosa Berceuse di Jilinski, due di Scriabine e il bizzarro Hopak di Mussorghski, rivelando specialmente doti di robusta tecnica e di genialità impetuosa. Fu coadiuvata egregiamente dal baritono Giovanni Copscik che cantò Prigioniero di Griecianinoff, Cristo è risorto di Rachmaniuso, e un brano del Nerone di Rubinstein. Ambedue gli artisti furono festeggiatissimi" («Il Tempo», 28 maggio 1920).
Un quotidiano romano – in un articolo intitolato "I russi residenti a Roma. Una denuncia al questore" – segnala gli abitanti di via della Croce come politicamente sospetti:
È preciso dovere d'ogni onesto cittadino, d'ogni buon italiano, tener d'occhio questa strana genia, osservarne le mosse, la vita e denunciarla al minimo sospetto. [...] Noi, per conto nostro, incominciamo col fare questa precisa denunzia, che regolarmente indirizziamo al Questore di Roma: in uno stabile di via della Croce hanno preso alloggio alcuni russi, i quali dicono di occuparsi d'arte e di affari commerciali, vivono ben provvisti di mezzi, non lavorano. Hanno un breve seguito di damigelle, di cui una va sovente a Parigi. Di quelli, uno ha stretto cordiale amicizia e va a braccetto con un ingegnere italiano, comunista, che fu bocciato nelle ultime elezioni amministrative e che è sposato ad una russa («Il popolo romano», 11 marzo 1921).
L'ingegnere italiano cui si fa riferimento è Mario Viscardini, che sulle colonne dello stesso giornale pubblica una lettera di rettifica il giorno successivo, assicurando i lettori che i russi di via della Croce "si sono dichiarati, perentoriamente e ripetutamente, antibolscevichi" e in quanto al sospetto che siano implicati nei recenti moti di Toscana, dà la sua garanzia sulla loro estraneità ai fatti, in quanto i russi erano i quei giorni a Capri. Ma il redattore risponde rincarando la dose:
È vero che quei russi, siano ingegneri o affaristi, artisti o letterati, vivono benissimo e non lavorano? Da quale fonte attingono i non miseri mezzi di vita, essi, poveri profughi, che sono scappati davanti allo spettro famelico del bolscevismo e certo non han potuto varcare la frontiera provvisti di verghe d'oro o di assegni bancari? Non appare, se non è, significativa la scomparsa di quei russi da Roma, proprio durante i giorni dei moti di Toscana? [...] Ad ogni modo, non dev'essere fuor di luogo far sapere che, secondo le informazioni a noi fornite dallo stesso loro patrocinatore, i russi, i poveri profughi, durante i moti di Toscana erano andati a godere gli incanti e le mollezze di Capri. Ed a questo proposito è opportuno richiamarsi alla campagna fatta dalla stampa napoletana proprio contro i russi di Capri, che, nella incantevole isola del golfo partenopeo, hanno stabilito una specie di quartier generale della propaganda bolscevica in Italia («Il popolo romano», 12 marzo 1921, p. 4).
La Questura di Roma, sollecitata dalla denuncia del quotidiano, dispone le indagini del caso e il 25 marzo 1921 comunica al Ministero dell'Interno che gli unici sudditi russi abitanti in via della Croce risultano essere Kopšik e il suo coinquilino Gek, i quali non destano preoccupazioni dal punto di vista politico:
Circa il movente dell'articolo comparso sul giornale, risulterebbe che i suaccennati stranieri al tempo della presenza nella capitale delle due compagnie dei "balli russi" che agirono al Costanzi e al Salone Margherita, più volte ebbero a riunire nella loro abitazione artisti loro amici, fino a tarda ora e ballando, ciò che provocò il risentimento di alcuni inquilini dello stabile di Via della Croce