Villa adibita a città-atelier dal proprietario, l’alsaziano Alfred Strohl, divenne ritrovo di artisti della più varia provenienza. Le origini e la singolare figura del mecenate che la progettò e la finanziò sono tratteggiate in pagine appassionate da Antonello Trombadori, figlio del celebre pittore che a lungo dimorò nella villa, Francesco Trombadori:
Questa splendida e varia estensione di verde (27 «pezze» ovvero circa 80.000 mq.) che prima del 1870 ebbe diversi proprietari fu acquistata nel 1879 dal cittadino francese di lingua tedesca, perché alsaziano, Alfred Wilhelm Strohl.
Aveva girato mezzo mondo costui, letterato, musicista, pittore, scultore, poeta, benché non ancora quarantenne (era nato nel 1847 a Sainte-Marie-aux-Mines, Dipartimento dell’Alto Reno). E, certamente già sazio della relativa angustia e limitatezza del mondo esterno, a Roma si fermò, e non se ne mosse più fino alla morte avvenuta nel 1926, per scrutare le profondità del mondo interno suo proprio. Egli è sepolto al cimitero acattolico presso la Piramide di Caio Cestio.
Aggiunse al suo casato l’aggettivo fern: «lontano». E sempre si è detto che egli in tal modo volle alludere alla sua lontananza dal natio borgo dopo la vittoria prussiana di Sedan. Ma io, man mano che riesco ad afferrare qualche brillio della sua dimenticata persona, penso che egli volle anche dire Alfred Wilhelm Strohl «lontano dal mondo».
La Villa, la cui altitudine è pari a quella del Pincio, è stata recentemente identificata con quello che nella storia della difesa della Repubblica Romana del ’49 ricorre come il Monte Pariolo. Le artiglierie francesi distrussero un Casino di campagna opera del Valadier che si levava quasi sulla sua sommità. […] Sul perimetro di quel Casino Strohl-Fern costruì la sua dimora. La disegnò egli stesso. Non se ne conosce la data, come nulla si conosce dei tempi di attuazione di tutto il restante straordinario accomodamento, sia botanico che edilizio, della Villa. L’intero archivio di Strohl-Fern, come la gran parte delle sue carte e delle sue opere di pittura e scultura sono andati smarriti. Per incuria, per ignoranza, per ingratitudine.
I segni della dimora di Strohl-Fern, mezzo neogotica, mezzo romantica, richiamano quelli altrettanto misteriosi del famoso dipinto «L’isola dei Morti» di Arnold Boecklin, la cui prima versione è del 1880. Ma a cavallo del ’70 Boecklin era già stato a Roma. Fu lui a indirizzare Strohl nella città eterna? Non è possibile dimostrarlo ma è legittimo e bello pensarlo. Della Villa Strohl-Fern come «Isola dei morti» scrisse per primo su «Paese sera», avendone avuta felice intuizione, Gianni Rodari autore di uno dei più belli articoli fra i tanti che a difesa del parco furono pubblicati dalla grande stampa italiana dal 1957 in poi. Perché? Perché, in effetti, anche a guardarla la Villa, nel suo profilo forestale, avviluppata in quel cupo verde, si presenta con quei connotati. E poi perché la Villa, prima di essere ridotta all’attuale stato di insulto e di abbandono, era strutturata quasi come uno straordinario labirinto. Al centro, la dimora del proprietario formava una sorta di «città proibita» con tutt’intorno un’alta recinzione che chi scrive ricorda ancora rasentata al galoppo lungo tutto il grande rettangolo, da due giganteschi cani pastori alsaziani abbaianti (Antonello Trombadori, Villa Strohl-Fern, «Strenna dei Romanisti», 21 aprile 1982).
Vi abitarono o vi allestirono i propri studi artisti, ballerini, scrittori: da Rainer Maria Rilke a Carlo Levi, da Anton Giulio Bragaglia a Bruno Barilli, Amedeo Bocchi, Cipriano Egisio Oppo. I suoi viali furono attraversati a più riprese da artisti russi, ad iniziare da nomi insigni come Michail Vrubel’ ed Il’ja Repin, sino ai coniugi Vladimir e Lidija Franchetti che qui trovarono ricovero nei difficili anni dell’emigrazione.
Punto di riferimento e meta agognata di pittori e scultori, ne rammenta l’atmosfera effervescente e misteriosa Corrado Maltese in un articolo pubblicato su «Il Messaggero» in occasione della morte di A. W. Strohl (19 febbraio 1927).
La villa di Strohl-Fern è sempre stata considerata come un angolo di Roma un po’ misterioso, molti sapevano ch’essa era la proprietà e la dimora di un solitario alquanto originale di carattere, ma pochi si son lasciati vincere dalla curiosità di salire l’erta che fiancheggia a sinistra la villa Borghese, e che vi conduce attraverso numerose giravolte per guadagnare la sommità del piccolo colle, che essa ricopre col suo verde manto di alberate.
Il luogo, più che ad altri, era noto agli artisti i quali tutti coltivavano la segreta, ardente aspirazione di occupare un giorno o l’altro uno dei numerosi studi di pittura e di scultura edificati dal proprietario nella sua villa, con sentimenti di vero mecenatismo in luogo di basso calcolo speculativo («Il Messaggero», 22 febbraio 1927).