Russi in Italia

Vladimir L’vovič Šereševskij


Luogo e data di nascita: Brest-Litovsk, 25 settembre 1863
Luogo e data di morte: marzo 1943
Professione: pittore

Nasce da Lev Šereševskij e Anna Abramovič. Terminati gli studi in matematica a Varsavia e a Mosca, nel 1892 si trasferisce a Monaco di Baviera, dove inizia a studiare arte e a partecipare a diverse esposizioni internazionali. Qui sposa Elisabeth von Herff, nata a Worms il 23 giugno 1859, da cui avrà due figlie: Elfride (n. 1888) e Aglaia (n. 1893, secondo Scotton nel 1890).
Due suoi quadri esposti nel 1893 (Una canzone patriottica) e nel 1894 (Morituri) al Glaspalast di Monaco attirano l'attenzione dell'allora segretario generale dell'Esposizione internazionale d'arte di Venezia, Antonio Fradeletto, che lo invita a partecipare alla prima edizione dell'Esposizione (1895). Dopo una breve visita a Venezia, Šereševskij è talmente impressionato dalla città che decide di prendervi dimora con la famiglia. La registrazione ufficiale a Venezia risale al 1° maggio 1895. Nell'Archivio Storico del Comune di Venezia si legge: "Rese ostensibile passaporto rilasciato dalla Direzione della Polizia di Monaco il 4.4.95 da cui emerge la sua sudditanza russa con appartenenza al comune di Brest Litowski da 11 anni".
A Venezia risiede prima a Dorsoduro 2765, presso la parrocchia di San Barnaba, e poi a Palazzo Brusa, oggi una delle sedi dell'Università Ca' Foscari (Dorsoduro  3825).
Il suo maggiore contributo alla scena artistica cittadina è dato dalle lezioni private impartite a uno dei futuri maestri della stagione moderna veneziana, Gino Rossi.

Fra Otto e Novecento partecipa a quattro edizioni dell'Esposizione internazionale d'arte di Venezia. Nel 1897 alla II Esposizione con le tele monumentali Una tappa di deportati in Siberia e Una canzone patriottica, esposte nel salone internazionale all'interno del Palazzo dell'Esposizione. Riguardo l'accoglienza delle due opere Gino Damerini ricorda:

Alla ammirazione della folla si unì la lode della critica ed il compiacimento de' ricchi che si disputarono il possesso delle sue due tele [...] Una di fronte all'altra, signoreggiavano immense, tetre, grigie, ma profondamente commoventi, la Canzone patriottica pervasa da un impeto fatale di nostalgia e la Tappa de' deportati in Siberia, una desolante scena di dolore presa dal vero (Damerini 1907).

Vittorio Pica scrive:

Tanto nell'una quanto nell'altra, dietro i veli nebbiosi delle penombre di nudi sotterranei carcerari, intravedonsi le figure grandi al vero di una schiera di deportati in Siberia con pesanti catene ai piedi e col dolore e la nostalgia sui volti emaciati. In esse, eziandio, se possiamo ammirare qualche volto espressivo e qualche gruppo bene atteggiato, dobbiamo deplorare la teatrale artificiosità complessiva che, invece di suscitare l'emozione, la gela sul nascere, sicchè, ancora una volta, volendo commoverci davvero sulla sorte dei poveri esiliati in Siberia, dobbiamo ricorrere alle pagine di un libro, alle pagine indimenticabili della Tomba dei vivi di Fédor Dostoiewsky (Pica 1897, pp. 15-16).

Una tappa di deportati in Siberia viene acquistato per 6.000 Lire dalla regina Margherita e donato da Umberto I alla Galleria internazionale d'arte moderna di Venezia, entrando tuttavia nella collezione permanente soltanto nel 1906 (cfr. Verbale di deliberazione del consiglio comunale di Venezia, in data 13.11.1906: "Proposta di accettazione dei doni artistici fatti alla Galleria Internazionale d'arte moderna dall'epoca della sua istituzione a tutto oggi", Archivio Storico del Comune di Venezia).

La tela è esposta di nuovo nel 1935 in occasione della Mostra dei quarant'anni della Biennale, nella Sala V del Palazzo dell'Esposizione, all'interno della sezione "Omaggio all'arte straniera" allestita con lavori esposti nelle edizioni passate ed acquistate per la Galleria nazionale d'arte moderna di Roma e per la Galleria internazionale d'arte moderna di Venezia. Oggi Una tappa di deportati in Siberia si trova alla Procura generale della Corte d'appello di Venezia a Palazzo Grimani, San Marco 4041.
Il secondo quadro esposto alla II Esposizione veneziana, Una canzone patriottica, viene pure acquisito lo stesso anno per la Galleria internazionale; al momento si trova nel deposito del museo a Ca' Pesaro.
Nel 1899 Šereševskij prende parte alla III Esposizione internazionale di Venezia con la tela In chiesa, esposta nella sala del Palazzo dell'Esposizione dedicata alla Corporazione dei pittori e scultori italiani, di cui l'artista faceva parte.
Nel 1905 partecipa alla VI Esposizione veneziana con un ritratto esposto nella sala dedicata all'arte veneta, mentre nel 1914 alla XI edizione, con un pastello dal titolo Testa di donna, disegnato dall'artista, quando già si trovava in manicomio sull'isola di San Servolo.

Durante il soggiorno italiano l'artista aveva iniziato, infatti, a dare segni di squilibrio mentale in seguito ad un arresto, dovuto a un malinteso, cui erano seguiti dieci giorni di reclusione in un carcere austriaco della costa dalmata. Questa esperienza traumatica è all'origine delle sue manie di persecuzione e degenera col tempo in un'ossessione per un quadro che lo impegna e lo consuma per molti anni, La Cena di Cristo. Gino Damerini scrive e a proposito della follia di Šereševskij:

La fiducia nella propria serena operosità svanì in lui con la coscienza della responsabilità artistica ch'erasi legata al suo nome e con la concezione di un'opera incominciata e condotta pressoché al termine parecchie volte, parecchie volte annientata e rifatta; annunziata reiteratamente per la quarta, per la quinta, per la sesta delle esposizioni di Venezia, infine abbandonata e fuggita con orrore, come si sfuggono le eventualità degli incubi notturni (Damerini 1907).

La rocambolesca cattura di Šereševskij e il ricovero forzato al manicomio vengono così riportati nella cronaca cittadina della «Gazzetta di Venezia» del 26 settembre 1907:

In questi ultimi giorni il disgraziato artista abitante a San Pantalon in palazzo Brusa erasi aggravato e la sua malattia manifestava con ogni sorta di stranezze. L'altro ieri per esempio, dalle finestre della sua abitazione, che danno sopra il rio di San Pantalon, il povero pittore gettava sopra le barche che passavano bottiglie ad altri oggetti con l'intenzione, diceva lui, di uccidere i suoi nemici. Quei proiettili, guidati dalla mano di un pazzo, erano un serio pericolo per l'incolumità dei passanti e perciò fu invitata la Croce Azzurra a trasportare al manicomio il disgraziato. L'infermiere D'Este compì le pratiche necessarie e nel pomeriggio si recò in Palazzo Brusa. Ma venne ricevuto dallo Scheresewsky stesso, il quale, chiudendogli la porta in faccia, lo fece allontanare. L'infermiere non si perdette di coraggio, saputo che dalla tre alle cinque il pittore si recava tutti i giorni al caffè Orientale si appostò colla barca in quei pressi. Quando vide il Scheresewsky seduto al caffè, chiamò l'agente di P. S. Roccazzella che per caso passava, e con esso si avvicinò al demente. Questi dimostrò meraviglia e sospettando il tranello, stava per agitarsi. L'infermiere però seppe abilmente ingannarlo promettendogli che l'avrebbe condotto all'Esposizione. Il Scheresewsky seguì allora tranquillamente il D'Este nella barca e fu così trasportato a S. Servolo. Malgrado la sua infermità di mente, il Scheresewsky si manifestava nei suo lavori artista ancora fortissimo e pieno di forza e di suggestione.

Ricoverato il 24 settembre 1907, Šereševskij viene dimesso il 10 novembre dello stesso anno dal manicomio di San Servolo "in via di prova" come recita la sua cartella clinica. Per l'artista, tuttavia, da quel momento in poi la reclusione in cliniche psichiatriche sarebbe diventata la regola, condizionando anche la vita dei suoi familiari che l'avrebbero seguito nei suoi vari spostamenti, prima a Stra, poi a Como, infine a Volterra, dove Vladimir Šereševskij si spegne all'età di settantanove anni, con ogni probabilità proprio nel celebre manicomio della cittadina toscana.
Testimonianze della sua originale produzione pittorica sono conservate in diverse collezioni private italiane nonché al Quirinale, dove il quadro Il pessimista era stato acquistato dalla famiglia reale italiana nel 1926 grazie alla mediazione di Antonio Fradeletto.

Bibliografia
R. Bazzoni, 60 anni della Biennale di Venezia, Venezia, Lambrosio, 1962, pp. 49-50.
G. Damerini, La pazzia di Wladimir Sherewshesky, «Gazzetta di Venezia», 29 settembre 1907.
D. De Angelis, Un dipinto "veneziano" dimenticato: la tela "Il Pessimista" di Vladimir Schereschewsky della collezione del Quirinale, «Quaderni della donazione Eugenio Da Venezia», 2001, (8), pp. 41-46.
A. Fradeletto, Ritorno a Cristo, Roma, Alberto Stock, 1925.
G. Mazzotti, Colloqui con Gino Rossi, Treviso, Canova, 1974.
L. Menegazzi, Gino Rossi - catalogo generale, Milano, Electa, 1984.
V. Pica, L'arte mondiale a Venezia, Napoli, Pierro Editore, 1897.
F. Scotton, Note su Gino Rossi a Ca' Pesaro: gli anni 1905-1909, «Bollettino dei Civici Musei veneziani d'arte e di storia», XXXI, 1987, n. 1-4, pp. 100-105.
Wladimir Scheresewsky al manicomio, «Gazzetta di Venezia», 26 settembre 1907.

Fonti archivistiche
Archivio Storico del Comune di Venezia, Immigrazioni dall'estero, 1885, Maggio, n. 1, Schereschewski Vladimiro e famiglia.
Archivio Storico del Comune di Venezia, Archivio generale, Quinquennio 1905-1909, Cat. VII, Classe 8, Fasc. 16.
Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Biennale di Venezia, Collezione autografi.

Nota
Nelle fonti archivistiche italiane si incontra come Wladimir o Vladimiro Schereschewsky o Schereschewski, in quelle biografiche come Wladimir Schereschewsky o Schereschewski.

Nell'immagine il quadro  Una tappa di deportati in Siberia, esposto nel 1897 alla II Biennale di Venezia.

Matteo Bertelé
Scheda aggiornata al 31 agosto 2010



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